Elena e Marcello Copertino
Le Querce della Porrettaccia
(diocesi di Forlì-Bertinoro)
Link: https://le-querce-della-porrettaccia.webnode.it/
Quello che ormai ci sembra chiaro e su cui, ogni possibile dubbio sta ulteriormente svanendo, è che in questa Pasqua 2020 abbiamo assistito ad un profondo rinnovamento della Chiesa universale, che vede, fra i suoi aspetti preminenti, la nascita, o meglio il nuovo compimento, della Chiesa domestica. E che questo sia avvenuto in questo tempo forte dell'anno, non ci pare per nulla una coincidenza.
Non vogliamo dire che il Signore si sia scomodato a mandare il Coronavirus e i conseguenti decreti/divieti per la chiusura delle chiese (sarebbe un atteggiamento magico, e Lui non ne avrebbe bisogno), ma come sempre il Signore sa volgere al bene anche gli eventi più tragici della storia e dei suoi figli. Del resto, i segnali c'erano già e da qualche tempo: comunità di famiglie, gruppi per la lettura del Vangelo nelle case, coppie e famiglie che ri-abitano canoniche o santuari vuoti, famiglie che aprono la loro stessa casa e che ne fanno un luogo di spiritualità domestica... ma quello a cui oggi stiamo assistendo è la forte visibilità e maturazione di questo processo. La ri-nascita appunto di una forma di Chiesa – quella domestica, che si affianca e non si sostituisce a quella degli ordini religiosi e delle diocesi/parrocchie, ma che non si limita a "mettere toppe" alle mancanze di questi giorni (no messe, no eucarestia, no confessione sacramentale, no catechismo, ….), bensì prende sul serio il fatto che "il velo del tempio si è squarciato" e che il Signore forse era stanco di essere tenuto fuori della nostra vita privata e dalle nostre case e di essere relegato, nella sua Santità, ai tabernacoli. Che Egli viene a bussare alla porta della nostra casa e chiede di venire a celebrare la Pasqua con noi. E dopo che avremo celebrato la Pasqua con Lui, dovremo prendere sul serio questa chiamata alla Vita Nuova nel Vangelo.
Senza giocare al ribasso o illuderci che la Chiesa domestica possa ridursi alla semplice "catechesi dei genitori verso i propri figli" o "saper mostrare l'amore coniugale come specchio di quello di Dio per la Sua Chiesa" (che sono cose buone in sé, ma un po' poco per dirci Chiesa), bensì che anche questa forma di Chiesa implichi, come tutte le altre e come tale, l'ascolto della Parola, la frazione del pane (condivisione della tavola e della vita), la preghiera continua, come pure la dimensione del servizio che costa, o per meglio dire, "vale" tutta una vita. E che quindi non possa limitarsi alle cure quotidiane per i nostri famigliari (nemmeno se piccoli, malati, anziani, scoraggiati… o comunque particolarmente bisognosi), ma ci impone di lasciare aperta la porta della nostra casa ad accogliere (AL 186-187, 196-197). Perché la Chiesa domestica non si riduca nella ricerca intimistica di un certo benessere spirituale famigliare, ma si apra alla costruzione del Regno.
Stiamo dicendo che i segni di questa Chiesa rinnovata dal profondo vanno presi sul serio, che i sacramenti ricevuti, matrimonio compreso, ci pongono sulla stessa barca con chi ha ricevuto l'ordine, e che, anche se con diverso stato di vita, desideriamo vivere come adulti nella fede, nella specificità che ci contraddistingue. Che vediamo con favore, in questi tempi, i segni di una Chiesa che si interroga e cerca un " magis", che non si accontenta, ma punta a riscoprire e approfondire i doni che ha giá. Come il dono della Parola!
Nei giorni della Settimana Santa ci è risuonato forte in preghiera questo invito a vivere in pienezza la Pasqua, come compimento di questa Parola: " Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». Come sappiamo, ogni volta che nel Vangelo si parla di un "tale" senza altro specificare, é perché ciascuno di noi può sostituirsi: quel tale siamo tutti noi. E quest'anno, più che mai, il Signore viene/è venuto (Maranà-tha) nelle nostre case a celebrare la Pasqua con i suoi discepoli, prendendo noi nella nostra casa, come suoi discepoli. In virtù dei sacramenti ricevuti (battesimo, cresima, ordine o matrimonio), siamo tempio dello Spirito che abita in noi. Non lo sapete? Ci domanda Paolo (1 Cor 3, 16). Invece che continuare a guardare ai sacramenti che ancora per qualche tempo non potremo ricevere (e che preferiamo quasi non ricevere se deve prevalere la logica del plexiglas o della distanza, che tradirebbero in profondità il senso stesso di quei segni!), sentiamo il richiamo forte a guardare e a prendere sul serio i sacramenti già ricevuti e la Grazia abbondante già riversata su di noi (senza peraltro alcun merito, ma come dono gratuito del Signore). Ci diamo disponibili allora (non senza tremito) come famiglia a continuare a ricevere il Signore nella nostra casa per questo tempo pasquale, così come oggi siamo qui ed ora, come non erano perfetti quei dodici là e allora. E il Signore lo sapeva, ma non si è schifato di celebrarla fino alla fine con loro!
Vediamo allora profonda sintonia fra ciò che accade oggi e l'esperienza delle prime comunità cristiane. E questo ci interroga. Stanno moltiplicandosi le persone che pregano la Parola e chiedono di fare esercizi o di avere un accompagnamento spirituale. Come sempre la crisi porta alla luce in modo forte e veloce quello che già era in atto, nel bene e nel male. É un acceleratore di processi, un tempo rivelativo: un conto é il fattore scatenante, altro è la capacità di osservare i processi più profondi all'opera. Già le chiese si stavano svuotando di numero e, spesso, di gioia, già stavano mancando i preti, ora queste chiusure obbligate... e dall'altro lato, la fioritura di una Chiesa domestica e diffusa che nutre e appassiona. Chi vuole il ritorno alla normalità é per noi rimasto intrappolato in quel percorso di decadenza e implosione che abbiamo tratteggiato qui sopra, non ci scandalizza né preoccupa. Ecco, piuttosto siamo a domandarci come seguiremo e coltiveremo questo nuovo corso che si basa su numeri piccoli, cenacoli domestici. Pensiamo a suore e preti che riabitano case e appartamenti normali, che celebrano in case e luoghi di lavoro, dove li invitano e magari lavorano loro stessi. Pensiamo a conventi e canoniche diventare condomini famigliari, perché i religiosi che li abitavano calano di numero e il sorpasso delle famiglie e dei single é innegabile. Pensiamo a una Chiesa diffusa senza paramenti sacri né altari, perché l'uomo stesso e la sua vita sono tempio di Dio. Una chiesa che celebra la Vita (nascite, morti, matrimoni, altri passaggi...) nei luoghi della vita: piazze, case, fontane ... che come il Maestro incontra l'uomo nel suo tempo-luogo di vita o non-vita. Perché per questo è venuto il Signore. Per sporcarsi le mani con le nostre storie... ma chiuso nei tabernacoli o dietro gli altari diventa ai più inaccessibile. La "distanza sociale" in cui avevamo relegato Dio rispetto alla vita dell'uomo é ormai troppa.
Sentiamo di poter concludere dicendo che la forma nuova di Chiesa che nasce e cresce non farà piazza pulita delle precedenti (che sarebbe ugualmente una tentazione!) ma sarà quel lievito e luce che cresce all'interno di essa per dare nuova Vita a tutto il corpo (leggi, comunità dei credenti). La tentazione sarebbe infatti quella di voler togliere di mezzo cioè che non funziona, non ci piace, non è adatto e consonante con il Vangelo: questo lo farà il Signore, con i suoi tempi e all'ultimo giorno (ricordate la parabola della zizzania e del grano?). A noi oggi, come operai nella Vigna rinnovata dal Signore, spetta collaborare alla Sua opera, facendo crescere i tralci nuovi e che, se sono nel Signore come crediamo, daranno frutti abbondanti! Anzi, essendo noi stessi disponibili ad essere quei tralci nuovi nelle mani del Vignaiolo! Crediamo infatti, con tanta gratitudine e meraviglia, che il Signore sia al lavoro e che noi dobbiamo solo cercare di rimanere in Lui e di lasciare che agisca attraverso noi, mettendo (e qui si gioca il "cosa facciamo allora noi?") tutta la nostra Vita nella Sequela. In quanto Popolo di battezzati (leggi: sacerdoti, re e profeti), comunità dei credenti.
Uno sguardo al tempo biblico e al tempo della Chiesa sarà efficace
per “sognare” e progettare una impostazione diversa da dare alla nostra
vita familiare.
Nel mondo biblico la casa fu un luogo primario della manifestazione
divina e il veicolo forse più importante per la costruzione del Regno di Dio.
Pensiamo alle vicende di Abramo. Dio appare a una famiglia, davanti casa (la tenda), a mezzogiorno quando la moglie è intenta a preparare il pranzo, per annunciare la Sua Promessa, la Sua Alleanza: “Tu sarai capostipite di una grande discendenza”.
Dio si serve del suo “veggente”, che è un padre (non un religioso), e di una casa (non un convento, non una chiesa). Questa visione al querceto di Mamre poco prima del pasto è tipica. Quante altre volte Dio ha agito così! Occorrerebbe leggere di più la storia delle “famiglie della Bibbia” (quella di Mosè, di Giacobbe, di Samuele, di Tobia e Sara, quella di Nazareth… ; studiare la Bibbia e la storia biblica in chiave di famiglia ci riserberebbe tante gradite sorprese.
Pensiamo alla Pasqua ebraica, nata, diffusa e totalmente impostata nelle case con un rituale gestito dal capofamiglia.
Pensiamo allo stile di trasmissione della fede come viene anche ricordato nello “Shemà Israel “(Ascolta Israele). È il testo biblico più famoso che dice a ogni israelita: “Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore… Questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore, li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai… li scriverai sugli stipiti della casa e sulle tue porte” (Dt 6,4). Ecco descritto un ruolo centrale della famiglia nella evangelizzazione e nella costruzione di un popolo di Dio.
A chi si rivolge Dio? Ai padri di casa. Per capire la forza innovatrice di questa impostazione guardiamo come oggi avviene la trasmissione della fede; avviene quasi soltanto dentro un Magistero che parte dal Papa che scrive i suoi documenti ai vescovi: e questi documenti sono spiegati dai parroci alla gente nelle pubbliche liturgie o in catechesi comunitarie.
Poche coppie, pochi genitori sanno essere protagonisti della fede.
Leggendo la Bibbia invece vediamo che Dio vuole che i padri, nelle loro case e nel
concreto dei ritmi quotidiani, divengano le strutture portanti (non le uniche certamente) della fede.
La casa e le sue espressioni famigliari anche nel Nuovo Testamento hanno goduto di un posto davvero centrale. Già il Vangelo dell’infanzia presenta l’evento dell’incarnazione situato nell’ambito familiare: dall’annunciazione alla nascita di Gesù. I due cantici. Quello della Vergine e quello di Zaccaria non provengono (come forse succederebbe oggi) da un monastero o dalla raccolta di canti della parrocchia, ma nascono in due case: da una mamma e da un papà cui è nato un bimbo. La storia umana delle famiglie con i suoi eventi lieti (nascita, matrimonio…) o tristi (malattia, morte…) si intreccia con l’intervento divino e diventa storia della salvezza.
La stessa Eucaristia ha avuto origine in una casa, con uno stile casalingo, nel bel mezzo del più domestico degli avvenimenti: il mangiare insieme.
Certamente sia Gesù che i primi cristiani frequentavano il tempio e le sinagoghe. Ma resta prioritaria l’impressione di una “chiesa domestica” nel senso di una chiesa a dimensione casalinga, domestica, familiare.
Oggi le nostre case sono “chiesa domestica”: il luogo dove Cristo agisce, come agisce nel tempio, con l’azione del celebrante. La nostra casa è Chiesa: cioè luogo dove Cristo è presente, Cristo che guarisce, che parla, che conforta, che fa il bene, che salva…; il luogo dove i nostri figli possono crescere in età. Sapienza e Grazia. Noi siamo la sua bocca per leggere e proclamare la sua Parola, le sue braccia per compiere le opere di salvezza e guarire; i suoi piedi per andare vicino alle persone.
Ecco allora che le nostre chiese domestiche come la Chiesa intera non possono fare a meno della Parola di Dio. Parola di Dio letta, ascoltata, pregata, incarnata.
È Parola che illumina, guida, indirizza, corregge, educa, sostiene, incoraggia il perdono, dà speranza nei momenti difficili, dona pace nei momenti di tensione, alimenta la fiducia nel Signore e fa crescere la comunione fra i membri della famiglia.
È Parola che diventa preghiera, linguaggio con cui si dialoga con Dio che, in quella parola scritta ci ha parlato. Così la Bibbia diventa lode, ringraziamento, supplica, invocazione, intercessione. Dall’incontro con la Parola di Dio emerge un nuovo volto di famiglia, una famiglia più consapevole della propria vocazione, una famiglia più aperta agli altri e meno ripiegata sui propri beni e sui propri problemi.
Come trovare un tempo adatto nella giornata così piena per la lettura e l’ascolto della Parola di Dio?
*Anzitutto è importante darsi una regola: “il dovere di sedersi”. Prendersi del tempo. Se ci affidiamo allo spontaneismo, alla voglia, al “lo farò quando avrò tempo “, mi ritroverò, alla fine della giornata, a non avere avuto il tempo per il Signore.
-- Alcuni sposi hanno deciso che il tal momento della giornata è del Signore; si leggono le letture del giorno, si sottolinea una parola, una frase. Sarà la Parola di vita per quel giorno: verrà custodita e ripetuta nel cuore, sarà come il faro della nostra giornata. Alcune coppie trovano questo momento dopo cena, dopo aver messo a letto i figli. Altre invece preferiscono prima di cena, considerando importante la presenza dei figli.
A pranzo e a cena può esserci la preghiera della mensa con una lettura di un passo breve della Bibbia. --
*Ci sono le tappe religiose tipiche di una famiglia che non possono non essere valorizzate come momenti altamente educativi e che danno origine a ricche sorgenti di formazione, grazie all’ascolto della Parola di Dio e alla preghiera: i battesimi, le prime comunioni, le cresime, gli anniversari di matrimonio, le malattie e le morti, i tempi forti dell’anno liturgico.
*Anche “l’ambiente casa “ci deve parlare di Dio e deve aiutarci a parlare con Dio. Per questo può essere molto utile creare, in un posto adatto, “l’angolo di Dio”: un’immagine significativa, la Bibbia, un cero, dei fiori… Ognuno personalizza come crede. Diventa un richiamo e uno stimolo per tutta la famiglia e per chi la frequenta.
*Una continua ricchezza proviene dall’eucaristia domenicale. Ci si potrebbe preparare in Casa leggendo le letture, interrogandosi su cosa il Signore vuol dire a noi come coppia e personalmente. Decidere per quali mancanze vogliamo chiedere perdono durante il rito penitenziale della Messa e quali situazioni della vita familiare offrire a Dio nella presentazione delle offerte. Per chi e per cosa ringraziare il Signore dopo averlo incontrato nella Eucaristia.
La “liturgia del rito” si traduce nella “liturgia della vita”. La vita di coppia e di famiglia è una liturgia vissuta nel quotidiano. Ogni gesto di amore familiare, vissuto nella fede della presenza del Risorto in mezzo a noi, è preghiera è liturgia.
Chiesa domestica, perché?
Domestica perché in casa siamo Chiesa in modo diverso; abbiamo uno stile casalingo, diverso dallo stile di chiesa comunitaria e liturgica. Certamente siamo Chiesa quando nel giorno festivo il popolo si raduna nel tempio. È lo stile pubblico dell’esser Chiesa, il cui punto di riferimento è il sacerdote, mentre insieme celebriamo la liturgia. È la chiesa riunita comunitariamente, qui i cristiani esprimono insieme la loro fede, è presenza di Dio; è un concentrato di grazia.
Ma c’è un altro stile di Chiesa ed è quello domestico, cioè nelle ‘domus’, nelle case. È la Chiesa diffusa nelle case, il cui punto di riferimento è il padre e la madre. I cristiani portano nelle loro case la luce della fede. È la casa che è calda dentro; luminosa perché dentro c’è il bene: c’è Dio. C’è il perdono, l’accoglienza, il volersi bene, l’attenzione alle persone… È la Chiesa nelle case, la comunità di tutte le ore della settimana, quando noi viviamo bene, col Signore con noi, nella ferialità, nell’ordinario che si fa straordinario. Ecco per esempio:
*Quando a mezzogiorno io invito a pregare, e prima del pasto faccio il segno della croce invitando a ringraziare Dio; quando la sera chiedo e chiediamo il Suo perdono; quando al mattino invito a pregare o insieme chiediamo l’aiuto per vivere bene la giornata… ecco tu, io, noi siamo Gesù Sacerdote nella nostra casa.
*Quando tu per l’ennesima volta cerchi di correggere tuo figlio e lo fai senza lasciarti vincere dal nervosismo, ma continuamente ti preoccupi di lui che cresca bene… in quel momento tu sei Gesù che parla oggi, che parla nella tua casa. Sei Gesù maestro, Parola di Vita, Gesù parla per mezzo di te.
*Quando c’è stata un’incomprensione col tuo coniuge e a tempo opportuno riprendi il discorso senza lasciarti vincere dallo spirito di rivincita; cerchi un dialogo, aiuti a chiarire, fai il primo passo, ti metti in ascolto… ebbene, quando riesci a ricreare l’armonia e alla fine tornate a sorridervi e a perdonarvi, a guarire le vostre ferite… ecco… che sei stato Gesù che compie il miracolo della guarigione. Sei Gesù Salvatore.
*Quando tra gli amici o vicini o parenti, io so che c’è una particolare difficoltà e riesco con tatto ad avvicinarli, riesco a dire una parola buona, un buon consiglio, cerco di aiutarli…; ecco in quel momento io sono Gesù, buon Pastore che va in cerca della pecorella smarrita.
*La nostra casa diventa luogo dove Cristo agisce come agisce nel tempio, con l’azione del celebrante. La nostra casa è Chiesa: cioè luogo dove Cristo è presente, Cristo che guarisce, che parla, che conforta, che a il bene, che salva.
È necessario prendere coscienza di questa realtà, ringraziare Dio perché ci ha voluto suoi collaboratori in un’opera grande, perché stiamo costruendo la Chiesa, il Regno di Dio oggi nel mondo, nei giorni feriali. Forse tanti non ci pensano, ma fanno tutto questo senza rendersene conto, con l’impegno quotidiano, pur tra la fatica, tra qualche lacrima e anche con qualche impazienza. Eppure, il bene c’è, si opera; il Regno di Dio si costruisce. Dio è all’opera ancora oggi, non solo duemila anni fa. Oggi è all’opera per mezzo nostro; oggi avvengono anche per mezzo nostro gli ‘ Atti degli Apostoli’. Questa è la strada su cui si gioca la nostra santità. È il nostro modo di essere santi, apostoli, profeti, sacerdoti.
Coniugi Giorgetti
Famiglia Chiesa Domestica
(diocesi di Rimini)
Don Antonio Torresin
Parrocchia San Vito al Giambellino
(diocesi di Milano)
Link: http://www.sanvitoalgiambellino.com/home.html
Abbiamo percepito meglio l’evidenza che l’eucaristia non è una devozione individuale ma un atto comunitario. Che cosa fare allora? Molti preti si sono buttati a pesce nella strada della trasmissione via streaming delle messe che continuavano a celebrare anche “in assenza di popolo”. Il mio istinto è stato diverso: se il popolo digiuna, digiuno anch’io. Imparo a vivere in attesa, perché senza l’assemblea presente con i corpi e i volti, la celebrazione è monca. Non che sia sbagliato celebrare senza popolo, e infatti, dopo un po’ di settimane, abbiamo deciso di celebrare una volta alla settimana per il popolo – intercedendo per tutti e a suffragio dei defunti – anche per non trasformare questa posizione in un assunto ideologico. D’altra parte, ho fortemente evitato la trasmissione della messa in streaming. Cosa lecita, certo, e i preti che lo hanno fatto hanno le loro buone ragioni. Ma due cose mi hanno trattenuto: la prima è che mi sembrava sbagliato incrementare la pratica che alla messa si possa “assistere” (termine caro al rito tridentino) come ad uno spettacolo. Dove per altro il prete sembra cercare ancora un ruolo di protagonista che alimenta un certo clericalismo. Alla messa non si assiste, si celebra, si partecipa attivamente. E poi: esiste solo la messa? Per questo – è la seconda ragione – ho pensato di investire le mie energie nell’aiutare i credenti a “celebrare” nelle case, preparando sussidi, fornendo anche qualche audio che facesse presente la voce della comunità in ogni casa, suggerendo magari di celebrare insieme con le piattaforme che oggi permettono di connettersi con più famiglie. È stato un vero e proprio lavoro, che ha chiesto a me una cura per la celebrazione – e non solo per l’omelia – che normalmente non mettevo in opera; e che ha chiesto ai credenti di attivarsi per celebrare: preparando il luogo, i segni, i tempi… Chi lo ha fatto credo sia cresciuto nel suo vissuto di fede.
Luigi Verdi
Fraternità di Romena
TEMPORE FAMIS
di Luigi Verdi
Sono giorni in cui pensi all’universo e cerchi qualcuno che possa illuminare la notte.
Giorni in cui ci troviamo a lottare con i nostri dubbi, con le nostre crisi, con le nostre identità precarie.
Giorni in cui viviamo la “precisione dell’amore”, in cui leggiamo finalmente con esattezza i nostri affetti.
Sono giorni in cui devi far tacere l’io per poter ascoltare un silenzio più grande, un silenzio abitato, un silenzio pieno.
Giorni in cui senti di essere un tutt’uno con tante religioni e con tutti gli esseri viventi.
Giorni di un cristianesimo finalmente nudo, in cui l’essenziale non sono i riti, ma il poter sentire l’incarnazione come un dono.
Sono giorni che ci ricordano che ciò̀ che vale è il pane sulla tavola.
Giorni in cui devi vivere quell’intensità quasi muta della vita fatta di necessità e di bellezza.
Giorni in cui ti accorgi di aver vissuto tutto con avidità, mentre la vita vera era da un’altra parte.
Sono giorni per tornare ad abitare poeticamente il mondo, in cui capisci che contemplare vuol dire prendersi cura.
Giorni per sentire che la vita vera non è mai facile e comoda, che il reale sta dalla parte della poesia e che la poesia è dentro al reale.
Giorni per guardare senza avere l’intenzione di prendere.
Sono giorni in cui ciascuno dei nostri gesti può impedire al mondo di rotolare verso gli abissi.
Giorni in cui una madre che rimbocca il lenzuolo al suo bambino addormentato è come se si prendesse cura di tutto il cielo stellato.
Giorni per misurare il valore di tutte le cose e vedere quanta luce contengano.
Sono giorni in cui senti che è il momento di non perdere tempo a maledire.
Giorni in cui capisci che sono la bellezza, la semplicità e la fragilità che ci aprono al futuro.
Giorni in cui capisci che è questo, proprio questo, il modo nuovo per respirare in questo mondo.
Famiglia Franchini
Parrocchia dell'Osservanza
(diocesi di Cesena - Sarsina)
Ciao a tutti,
siamo Federico e Chiara, una coppia di giovani sposi rispettivamente di 27 e 24 anni. In queste poche righe cercheremo di raccontarvi qualche pezzo della nostra vita, forse i più importanti fino ad ora o forse quelli che meglio affiorano nella nostra mente per il proprio splendore, chissà…
Siamo sempre stati due persone alla ricerca e, in questa ricerca senza nome, una grossa mano ce l’ha data il percorso all’interno dello scoutismo che accomuna le nostre due vite e che, di fatto, è stato anche il percorso che ci ha fatto incontrare e re-incontrare … ma torniamo alla ricerca!
Abbiamo avuto due infanzie diverse, Federico figlio unico da due genitori separati, Chiara primogenita di quattro figli da una famiglia tanto affiatata; Federico che in adolescenza indurisce il cuore per paura di ferirlo troppo, Chiara che cerca nei ragazzi conforto e protezione; ma la sete di qualcosa di più grande, quella era uguale per entrambi! Nella ricerca della fonte diventiamo grandi e troviamo dove poggiare il capo entrambi al SOG (servizio orientamento giovani) dei frati minori di Santa Maria degli Angeli. Lì, per la prima volta, ci sentiamo ascoltati e AMATI da un Dio che vuole solo bene-dire, rendendo le nostre FERITE delle FERITOIE.
È da questo incontro con lo Spirito che, nonostante ci conoscessimo da tempo, ci rivediamo con occhi nuovi, quelli dell’amato che riesce ad amare, e decidiamo di metterci insieme. Ma la sete di assoluto non finisce MAI, e allora le nostre domande iniziano a spaziare dal “Sono chiamato/a ad una vita sponsale o ad una vita consacrata?” e una volta scelto di intraprendere il cammino del fidanzamento la domanda diventa “Quali sono i cardini, i pilastri sui quali vogliamo fondare la nostra famiglia nel Signore?”.
È così che le risposte lentamente, come frutti maturi, arrivano ai nostri cuori e le parole che verbalizziamo sono: PROVVIDENZA, SOBRIETA’, ACCOGLIENZA/APERTURA ALLA VITA.
Dal tempo del fidanzamento siamo seguiti da una coppia, oramai divenuta di amici, facente parte della rete delle famiglie ignaziane che, tramite questa specifica spiritualità, accompagna i nostri passi in un cammino di discernimento continuo. Questa coppia è fondatrice di una piccola realtà nelle colline sopra Predappio chiamata Querce della Porrettaccia che, oltre ad essere loro dimora ospita coppie e singoli in cerca di Dio in un’ottica di totale provvidenza al Signore.
Spinti da tanta ammirazione per questa realtà e vogliosi di vivere quelle 3 parole che sapevamo essere tanto importanti, chiediamo loro di passare i primi 6 mesi di vita matrimoniale alle Querce. La richiesta viene accolta e così scopriamo di fare parte di una grande famiglia che condivide quelli che credevamo essere valori solo di pochi: la CHIESA DOMESTICA.
Scopriamo, dopo 2 mesi dal matrimonio, di aspettare la nostra piccola Anna Luce così scegliamo di trasferirci più vicini a Cesena, la nostra città.
La volontà profonda era quella di trovare un focolare che potesse ospitare il nostro desiderio di SPIRITUALITÀ DOMESTICA. Nonostante questi desideri ci fossero chiari, pareva proprio difficile incappare nella proposta per noi migliore. Dopo settimane, dunque, scegliamo di abbandonare la ricerca di una nuova casa e rimettiamo ogni intuizione nelle mani del Signore consapevoli che ci avrebbe sicuramente donato qualcosa di ancor più grande di ciò che immaginavamo!
Dopo solo un giorno di questo abbandono totale alla Provvidenza veniamo contattati da un giovane Parroco della città che ci offre un appartamento ricavato all’interno di un convento francescano oggi Parrocchia dell’Osservanza e i nostri cuori si riempiono di gioia e commozione.
Oggi viviamo qui, in uno spazio che trasuda PROVVIDENZA, che vive nella SOBRIETÀ e che è APERTO come una parrocchia deve essere. Quei valori che intuivamo durante il fidanzamento si sono fatti carne, più volte, nella nostra vita ancora così inesperta e già sorpresa da tante meraviglie!
Vi chiediamo di pregare per noi, se potete.
Noi faremo lo stesso.
Un caro abbraccio!
Federico, Chiara, Anna Luce
Santuario di S. Antonio
Boves
La storia
Il Santuario di S. Antonio si trova a 700 m di quota, sul crinale della verde collina che unisce Boves con Fontanelle.
La struttura è composta dalla chiesa, la cui costruzione risale al 1647, e da una zona abitativa ampliata in vari momenti successivi fino agli anni ’70. Non si hanno dati precisi su quale sia stato l’uso del Santuario nei secoli scorsi in quanto buona parte dei documenti storici, che erano depositati presso il comune di Boves, sono andati bruciati nell’incendio di cui è stata vittima la cittadina nel ’43. Negli anni ’60 e ’70 la struttura è divenuta sede per le attività estive di formazione giovanile dell’Azione Cattolica, e dai primi anni dell’80 la struttura è stata utilizzata solo occasionalmente e sporadicamente per singole giornate e quindi sia il parco che l’intero edificio hanno subito inevitabili deterioramenti.
Il Santuario, di proprietà della Diocesi di Cuneo, ci è stato affidato in comodato dal 1997, con l’intento da parte nostra di dare accoglienza e accompagnamento spirituale a singole persone o gruppi.
Vogliamo ricordare che la nostra scelta di vivere stabilmente nel Santuario si colloca all’interno di un discernimento come coppia volto ad orientare la nostra esperienza di fede verso l’accoglienza e la condivisione. In questa direzione ci è sembrato di poter offrire al Santuario di S. Antonio una presenza continuativa che facilitasse occasioni di confronto, dialogo ed ascolto.
La spiritualità e le proposte
La nostra formazione, personale e di fede, trova ispirazione nella spiritualità e nella pedagogia di S. Ignazio di Loyola; condividiamo quindi con i Gesuiti la stessa fonte spirituale, ma ovviamente con alcune particolarità specifiche della nostra vita laicale e di coppia.
In questo senso ci sembra importante sottolineare l’urgenza, evidenziata anche nel recente Sinodo Diocesano, di una proposta spirituale che non disgiunga fede e vita. D’altra parte lo stesso mistero dell’incarnazione di Cristo ci deve interpellare in modo radicale: cosa vuol dire oggi proporre una spiritualità che riesca a scuotere e coinvolgere il credente in ogni ambito della sua esistenza, dalla famiglia al lavoro, dalle relazioni sociali a quelle personali? Ecco, nel nostro piccolo cerchiamo di porci in questo ventaglio di interrogativi.
Per questo motivo riteniamo che tre ambiti preferenziale si possono evidenziare nelle nostre proposte: 1) una forte esperienza di Dio attraverso l’itinerario degli Esercizi Spirituali ignaziani; 2) un’attenzione alle problematiche e alle dinamiche della vita di coppia; 3) una dimensione formativa per chi vive un compito educativo o nel campo sociale ( si pensi soprattutto al mondo della scuola e del volontariato) onde ripensare le motivazioni che orientano tale impegno.
L’ ospitalità
Attualmente le persone che si rivolgono al Santuario provengono da vari itinerari di fede e di ricerca: da chi occasionalmente sale al Santuario per trovare un luogo di silenzio e preghiera, a chi è interessato ad un personale cammino di accompagnamento spirituale, a gruppi di persone che aderiscono alle iniziative proposte o che chiedono ospitalità per uno o più giorni per incontri e attività in qualche modo affini all’identità del luogo.
La struttura attualmente dispone, oltre che della chiesa e di una piccola cappellina, di un salone per incontri e di una foresteria con una cucina, una sala da pranzo e camere per una capacità ricettiva fino a 20 persone circa. Non ultimo il parco, oltre che la collina stessa in cui è inserito il Santuario, che consente agli ospiti di beneficiare di una rilassante “immersione” nel verde e nella natura.
Maria Grazia e Umberto Bovani
Coniugi Dall'Orso
“Domani alzati presto e cerca ancora”
Mari Na
Siamo Francesca e Giulio.
La nostra storia è partita da Genova, città natale, frequentando l’Azione Cattolica parrocchiale e diocesana degli anni ’70-’80. Anni intensi di fermento progettuale e ricerca spirituale: Scuola di preghiera di P. Gasparino (Cuneo); servizio in varie parrocchie, volontariato in diocesi e al Paverano (Cottolengo di don Orione).
Lì è maturata anche la scelta di sposarci, di cercare un luogo dove realizzare il nostro sogno di comunità di famiglie. Sogno che si è chiarito man mano e che abbiamo rincorso nelle vicende della vita, per tentativi ed errori, passando anche per Piacenza. Poi con i nostri tre figli siamo riusciti a “raggiungerlo” in varie tappe, sulle colline di Castel S. Pietro Terme (BO).
Nel 2000 abbiamo costituito l’associazione “La Tenda di Abraham” assieme ad altre famiglie, radunate da amici comuni della comunità di Maranathà. Accompagnati da un gesuita (p. Paolo Bizzeti) abbiamo mosso i primi passi nella vita comunitaria fondata sui criteri di solidarietà, condivisione, preghiera, accoglienza. Vivendo l’esperienza ci siamo accorti che la vita comune era cosa diversa da quello che pensavamo. E’ stato un percorso, doloroso, di verità su noi stessi. Il lavoro profondo che ha fatto la comunità su di noi ci ha riportato all’esperienza del deserto, al riconoscimento della nostra fragilità e dell’orgoglio dietro le nostre intenzioni, della trappola dell’ideologia, del bisogno di perdono e riconciliazione in primo luogo con le nostre ferite.
Sono stati 20 anni molto intensi e ricchi anche dal punto di vista dell’esperienza con i poveri che abbiamo ospitato negli appartamenti di Torre de Campani, la casa dove abitiamo, o che abbiamo seguito nel cammino verso una maggiore autonomia. Tanti contatti, tante collaborazioni con altre associazioni del territorio sempre in campo sociale.
Ora l’esperienza si sta compiendo. Capiamo che la nostra disponibilità a ospitare e accompagnare persone in difficoltà/povertà sociale si sta modificando, vuoi per età, energie, consapevolezza, e si si sta trasformando in un desiderio di maggiore attenzione alla dimensione spirituale.
In questi anni abbiamo rivisto l’organizzazione del nostro stare insieme, dandoci una struttura più libera e aperta alle esigenze di ciascuna famiglia; questo ha favorito lo sviluppo di una spiritualità domestica che per la nostra coppia ha significato anche incontrare nuove esperienze e luoghi di preghiera.
La dimensione della spiritualità che è sempre stata presente sullo sfondo, fondamento dello stesso servizio verso i poveri e dell’esperienza di condivisione, ora emerge in primo piano e richiede tutta la nostra attenzione.
Le nostre esperienze, educative, di accompagnamento psicologico, i momenti formativi personali e di coppia, la frequenza annuale agli esercizi spirituali, la scoperta e lo studio dell’Enneagramma, gli incontri con la Rete delle Famiglie Ignaziane, la formazione al CIS, ci hanno arricchito e ci stanno conducendo ad approfondire e coltivare una dimensione di Chiesa più semplice, quasi “cellulare” ma al tempo stesso fortemente connessa con la realtà di questi tempi.
Siamo ancora impegnati nel lavoro, ma più liberi dalla cura dei figli che, ormai adulti, sono partiti per le loro strade. Questa situazione ci rimette in movimento, alla ricerca di persone, ambiti e forse un luogo dove mettere a frutto quanto ricevuto e imparato.
Famiglia Gabella
(Diocesi di Bologna)
Siamo Nicola e Giulia Gabella di Bologna. Siamo sposati da quasi 25 anni e abbiamo tre figli: Samuele (22), Sara (20) e Anna (17). La nostra storia di famiglia è caratterizzata da sofferenze e rinascite. Sofferenze dovute all’esperienza della disabilità di Sara e rinascite avvenute non magicamente ma riconoscendo l’opera di Dio Padre nella nostra vita e riconoscendo la Grazia che è data dal Sacramento delle nozze che ci unisce (La carità coniugale è l’amore che unisce gli sposi, santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del sacramento del matrimonio - AL n. 120).
Il Sacramento è segno efficace della presenza di Dio e credere nel Sacramento delle nozze ci da la certezza della Sua presenza, non solo quando siamo bravi, buoni e pieni di entusiasmo, ma sempre; anche quando siamo in difficoltà, quando abbiamo dubbi, quando litighiamo… Il Matrimonio è Sacramento permanente, h. 24, fonte inesauribile della Grazia di Dio.
Non abbiamo un luogo e un tempo particolare, in cui ascoltiamo il Signore nella nostra casa o dialoghiamo con Lui. A volte è la nostra camera da letto, a volte il divano o la tavola. Abbiamo però posto su un mobile in sala la Bibbia con una croce e una candela che cerchiamo di tenere accesa il più possibile. Perché la Parola e la Luce ci indicano sempre la strada da seguire, anche in modo visivo concreto. Esse ci richiamano a seguire l’unico Maestro, soprattutto nei momenti di fatica.
Come momento di famiglia abbiamo la lettura del Vangelo la sera dopo cena; prima spezziamo il pane nella cena e al termine leggiamo la Parola del giorno seguente con un breve commento. A volte tutto finisce velocemente ma altre volte ci si ferma a commentare anche con i figli, che non lo danno a vedere, ma sono affezionati a questo momento che fa parte della nostra vita di famiglia da tanti anni.
L’accoglienza è una delle gambe della nostra tavola/vita famigliare, così come ci piace descriverla. Le altre sono la preghiera, il dono del corpo e la formazione. L’accoglienza è molto importante per noi; negli anni abbiamo sempre cercato di avere una casa aperta lasciandoci anche guidare dallo Spirito. Abbiamo avuto piccole esperienze di affido, e nel 2017 abbiamo ospitato per alcune settimane un papà nigeriano (la storia è molto bella ma un po’ lunga da raccontare ora). Abbiamo anche cercato di essere disponibili ad accompagnare coppie al matrimonio, ad ascoltare coppie di sposi in difficoltà e genitori provati dall’esperienza della disabilità del figlio. Abbiamo vissuto in casa per oltre 10 anni l’esperienza della comunità famigliare di evangelizzazione (su mandato di don Mario Zacchini parroco a S.Antonio di Savena a Bologna) e attivato percorsi quali il Marriage Course (cene rivolte a coppie stabili in qualsiasi condizione di vita con visione di video sulla relazione di coppia e conseguente lavoro di coppia). Abbiamo anche accompagnato una coppia al matrimonio civile con momenti di preghiera insieme e riflessione sulla presenza di Dio nella loro relazione e nel loro amore.
Spesso siamo poi stati chiamati a portare una nostra testimonianza in vari contesti parrocchiali e non solo. In passato siamo stati chiamati due volte in Piazza Verdi (zona universitaria a Bologna) a portare un nostro racconto nell’ambito di iniziative di evangelizzazione di strada e recentemente (la scorsa estate) siamo andati a Mazara del Vallo (TP) a raccontare la nostra storia di famiglia (e le riflessioni che da questa storia sono scaturite) nell’ambito delle iniziative della pastorale del turismo di quella zona pastorale.
Queste attività e questi impegni ci gratificano anche a livello personale – non lo nascondiamo - perché ci hanno dato nel tempo occasione di incontrare tante persone, fratelli e sorelle, veramente stupendi. Certo, a volte costa un po’ fatica; a volte ci fa alzare dalla nostra zona di comfort. E’ Papa Francesco stesso che sempre in AL n. 308 ci dice che: Gesù «aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente».
Le motivazioni più profonde le troviamo però nel nostro essere sposi cristiani al servizio della Chiesa, i quali, in forza del sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione (AL n. 121). Abbiamo quindi preso consapevolezza nel tempo che le famiglie cristiane – e quindi vale anche per noi come per tutti gli sposi - per la grazia del sacramento nuziale, sono i principali soggetti della pastorale famigliare (AL n. 200).
Ora in questo tempo ormai lungo di pandemia soffriamo molto la mancanza di contatto e relazioni e la possibilità di accogliere persone nella nostra casa. In un certo senso è un tempo di silenzio di Dio. Cerchiamo di rimanere attenti a quello che accade intorno a noi e a farci trovare pronti; la luce che ci è stata donata con il Sacramento del matrimonio non possiamo nasconderla, deve continuare a brillare. Stiamo vivendo un tempo particolare. E’ un tempo faticoso, dove soprattutto i figli soffrono delle varie limitazioni; questo da una parte ci fa soffrire, dall’altra ci chiede di affidarci ancora di più a Dio, a riconoscere che abbiamo bisogno di Lui, della Sua Parola, della Sua Provvidenza. E’ in questi momenti di fatica che abbiamo imparato che affidarci a Lui non ci da mai una fregatura. Ci affidiamo e Gli permettiamo di operare come solo Lui può fare.
Nel link che alleghiamo potete leggere una nostra breve testimonianza che è stata raccolta da una giornalista nostra amica; vi lasciamo anche la nostra email nel caso qualche famiglia volesse contattarci. Perchè abbiamo a cuore chi magari vive un’esperienza simile alla nostra, vive con fatica la disabilità di un figlio e vorremmo che sapessero che possono contattarci per un confronto, un ascolto, due parole, un abbraccio (anche solo virtuale al momento). Questo abbiamo ricevuto a suo tempo e questo desideriamo restituire.
Nicola e Giulia Gabella – email: nicola-giulia1996@libero.it
Centro Pastorale Familiare
Diocesi di Verona
Nei mesi scorsi in tanti hanno parlato di riscoperta di una dimensione fondamentale della vita cristiana: la Chiesa domestica. Non possiamo ora parlare di tutto ma in modo super sintetico vorremmo indicare riguardo questo punto alcuni significati davvero di importanza straordinaria, che oggi particolarmente e nel prossimo futuro siamo chiamati a riscoprire.
Un primo aspetto è quello che potremmo indicare come «case chiese»: i discepoli di Gesù, i cristiani si incontrano con naturalezza nelle proprie case dove fanno esperienza di Chiesa: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20). La vita cristiana è per se stessa vita di comunità, nessuno è cristiano da solo e nessuna famiglia è cristiana da sola: ci è donata e siamo chiamati a fare esperienza comunitaria di amicizia fraterna.
Un secondo aspetto è la consapevolezza, per chi lo vive, dell’essere sposi in Cristo: nel sacramento del matrimonio è dato un dono speciale dello Spirito perché quell’uomo e quella donna sia realmente segno vivo ed efficace dell’amore di Cristo sposo per la sua Chiesa sposa. Il matrimonio cristiano non è semplicemente un fatto «naturale» ma un sacramento per l’edificazione della Chiesa corpo di Cristo, è sacramento per la missione.
Qui si apre la terza dimensione: qual è la missione della famiglia? Rendere domestico il mondo, trasformare il mondo in un’autentica casa, rendere la Chiesa esperienzialmente famiglia di Dio. Se una famiglia è e diventa semplicemente ciò che è, se ogni giorno cammina nell’amore e nell’amicizia degli sposi, nel rapporto tra genitori e figli e più in generale tra generazioni, se fa esperienza della fraternità, anche attraverso la storia delle nostre fragilità, dei tradimenti ricevuti o inferti, delle tenebre che toccano la nostra vita, i nostri amori, le nostre relazioni, se in mezzo a tanti ostacoli fa ancora esperienza nel peccato di misericordia e di perdono, allora la famiglia per ciò stesso rende più chiaramente la Chiesa famiglia di Dio e il mondo la casa che ci è data da abitare in questa vita.
Una domanda ed un invito
In questo sguardo vogliamo invitarvi a percorrere un cammino. Non sono queste poche parole il momento di grandi approfondimenti e riflessioni. Vogliamo farvi una domanda ed un invito: a chi vuoi legarti per condividere un’autentica vita in Cristo? chi vuoi alleato?
Non basta un incontro ogni tanto, per quanto possa essere importante, abbiamo bisogno di un cammino ordinario, abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda in carico, che decida di camminare con noi, non semplicemente in modo occasionale, abbiamo bisogno a nostra volta di prendere in carico qualcuno, di decidere di camminare insieme.
Potrebbe essere così: una proposta
Come Centro di Pastorale Familiare quest’anno daremo settimanalmente una video catechesi di circa 7-8 minuti. Accompagnerò io in particolare questo cammino, coinvolgendo altri confratelli e famiglie. Per fare cosa? Per invitarvi a stringere autentiche e ordinarie alleanze in Cristo Gesù. Pensa a qualcuno con cui vorresti camminare: se intuite una bella possibilità, abbiate il coraggio di prendervi l’impegno di un cammino ordinario di condivisione.
Io con forza vi consiglio di incontrarvi un momento, un’ora, settimanalmente. Perché? So che può non essere facile. Ma il motivo è molto semplice e per me vale tutta la fatica: il ritmo settimanale è solitamente il ritmo della vita ordinaria, ciò che è settimanale è il tessuto normale della mia vita, il resto rischia di essere troppo diradato. Il Signore stesso ha iscritto questo ritmo nella sua creazione e non a caso l’incontro della comunità di fede, della Chiesa, la memoria domenicale della passione e risurrezione del Signore Gesù nella celebrazione dell’eucaristia, ha un fondamentale ritmo settimanale. Del resto la maggior parte dei nostri impegni sono settimanali: chi mai penserebbe di fare sport una volta al mese o una volta ogni due settimane o di imparare qualcosa con un incontro sparso qua e là? Vuoi vivere la bellezza della fraternità e dell’amicizia in Cristo Gesù? Vuoi scoprire la bellezza di essere figlio del Padre e fratelli tra di noi, chiamati ad un’autentica amicizia in Cristo? Questa non può essere un’esperienza rarefatta ma chiede un ritmo ordinario. Se poi ritenessi diversamente, in ogni caso vale la domanda: che cammino scelgo e con chi lo scelgo?
L’incontro potrebbe essere semplice nella struttura: creare un clima di preghiera, seguire la video catechesi, lasciare il tempo di una risonanza sincera che non sia una discussione sulle idee ma la consegna di cosa muove in me, nel mio cuore, concludere ancora con una preghiera di affidamento. Ognuno potrà trovare il modo più adatto per sé. Forse il parroco o un sacerdote che conoscete potrebbe ogni tanto partecipare e camminare con voi.
Contattateci, fateci sapere se state iniziando un cammino così, potremmo venire a trovarvi e sostenerci insieme! Ricopriamo insieme, in semplicità, che la Chiesa vive nelle case! Davvero, pur in mezzo a timori e fatiche, abbiamo voglia di comunità! Se ci sbilanciamo, avremo la sorpresa di scoprire il Signore Gesù in mezzo a noi lì dove ci incontriamo in Lui.
Don Sergio Billi
Direttore del Centro di Pastorale Familiare
Coniugi Baratella -
servizio diocesano per la pastorale della famiglia e la vita
(Diocesi di Concordia-Pordenone)
Eccoci! Siamo Daniela e Marco, sposi da 27 anni, con due figli: Sarah, di 26 anni, già fuori casa, e Mario, di 22, che vive ancora con noi. Marco è imprenditore informatico, Daniela traduttrice e blogger (Benedetta famiglia!: http://coniugi-baratella.missionando.org/). Da anni operatori di pastorale familiare, attualmente, siamo a servizio della nostra diocesi come presidenti della Commissione famiglia e vita (Diocesi Concordia-Pordenone), per la quale abbiamo di recente creato e gestiamo il sito www.famigliaevitapn.it .
Con gioia abbiamo partecipato al convegno del 17 gennaio: “Chiesa domestica e dimensione domestica della Chiesa”, e volentieri accogliamo l’invito di scrivere la nostra testimonianza.
Nella nostra storia familiare, la Presenza del Signore non è mai venuta meno. Si è manifestato straordinariamente all’inizio del nostro rapporto. Io, Daniela, desideravo ardentemente formare una famiglia cristiana. Quando ho conosciuto Marco, artista, intellettuale di sinistra che si professava ateo, non potendo parlare con lui di fede (era tabù) ho chiesto al Signore la grazia di aprire il suo cuore al rapporto con Lui. L’ho chiesto con tutti i mezzi che la Chiesa mi metteva a disposizione... Quando, dopo meno di 2 anni, ha iniziato a dare un piccolo segno di apertura, ho accettato di sposarlo, certa che il Signore avrebbe portato a compimento la Sua opera in lui.
Negli anni, la presenza del Signore si è manifestata nella nostra vita familiare anzitutto come Provvidenza. Ne abbiamo fatto puntuale esperienza, avendo scelto di vivere con uno stipendio o poco più: io, Daniela, pur se laureata e con buone prospettive di impiego, ho scelto di non lavorare fino a che i figli erano alle medie, col desiderio di non delegare ad altri la loro educazione e il loro accompagnamento. Non c’è mai mancato il necessario: in modo spesso sorprendente e creativo è sempre arrivato tutto quel che serviva (e anche un po’ di più), nella nostra quotidianità come anche nel nostro cammino spirituale.
Abbiamo cercato di trasmettere anche ai nostri figli l’attenzione alla realtà, per cogliere i segni della premura del Padre per ciascuno di noi, alimentandone così l’identità filiale. Oggi, entrambi sono ragazzi praticanti e impegnati nella Chiesa.
Ma il Signore si è sempre manifestato fedelmente anche come matrice/sorgente di comunione tra noi, e con tutti. Le volte in cui la nostra relazione sponsale è entrata in sofferenza, le volte in cui il nostro amore, per tanti motivi, primo fra tutti la nostra povertà affettiva, ci è sembrato morto, il Signore della vita, che invocavamo, lo ha fatto risorgere, restituendocelo ogni volta un po’ più forte. Ci ha aiutato infatti a ridurre progressivamente le aspettative sull’altro e sul nostro rapporto, ci ha aiutato a crescere nella reciproca capacità di accoglierci nei limiti e a perdonarci, comprendendo quanto entrambi siamo destinatari e bisognosi di misericordia. Tutto questo, non senza fatica, sofferenza, senso di solitudine in certi momenti.
Ci sono alcuni momenti in cui stiamo con il Signore e dialoghiamo con lui nella preghiera. Al mattino prima di iniziare il lavoro Marco e io diciamo qualche preghiera in cucina, abbracciati. Ma prima ancora Marco medita per suo conto la Parola del giorno, (mentre io, Daniela vado poi alla messa feriale del mattino). Ai pasti, a turno, spontaneamente, uno di noi per tutti chiede al Signore di benedire il cibo che prendiamo e gli si affida qualcuno o qualche situazione particolare. Nel pomeriggio, se posso, condivido il rosario con la nonna, che vive sotto casa nostra. Alla sera, prima di dormire, Marco e io diciamo una preghiera spontanea che inizia sempre con il ringraziamento. E c’è una ulteriore modalità che adottiamo entrambi, pur se in momenti diversi: ascoltiamo meditazioni spirituali da youtube, sentiamo che ci aiutano molto a crescere nella relazione col Signore.
La letizia ci pare sia un tratto distintivo e abbastanza stabile di casa nostra. Certo, ci sono alcuni momenti di confronto anche acceso (siamo talmente diversi!), ma si risolvono presto, e senza strascichi. La nostra è da sempre una “casa aperta”, vale a dire che ci piace accogliere gli amici, gli amici dei figli, e diversi sono i sacerdoti che per vari motivi vengono a trovarci per fare una chiacchierata, condividendo un pasto in semplicità. Tra gli amici che ci visitano ve ne sono di dichiaratamente non credenti, altri non sono praticanti, e tuttavia – pur sapendo che noi lo siamo – accettano il dialogo con noi, e anche di ascoltare, ad esempio, la nostra preghiera ai pasti, in cui sempre ringraziamo il Signore per la loro presenza e invochiamo la Sua benedizione su di loro. Accogliamo tutti con affetto fraterno, non giudichiamo nessuno per le proprie scelte, diamo ragione della nostra fede quando ce lo chiedono, cerchiamo il bene in ogni situazione e per ciascuno.
Crediamo, abbiamo speranza, che chi viene a casa nostra faccia in qualche modo – nostro malgrado – esperienza di Chiesa. Non certo per nostri meriti, ma perché Gesù lo ha detto: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”. Ecco, fondiamo la nostra speranza su questa sua Parola. Noi cerchiamo solo di custodire la Sua grazia, il resto lo fa Lui.
La domanda che ci abita, rispetto alla relazione con il Signore, è richiesta della Sua presenza e parte dalla consapevolezza del nostro bisogno di Lui, del fatto che il suo Amore alimenta il nostro amore, che è piccolo. Se ci allontaniamo da Lui, ci allontaniamo anche tra noi. “Solo in Dio riposa il nostro amore” abbiamo scritto sulla nostra Bibbia. Non è una frase fatta, lo abbiamo sperimentato tante volte.
Ecco questa la nostra esperienza in gran sintesi.
Un caro saluto nel Signore!
Daniela Favaro e Marco Baratella
Portogruaro (Venezia)
Comunità di famiglie Balicanti
Canelli (AT)
Siamo una piccola comunità formata da 4 famiglie: 3 residenti (Katia e Marco con tre figli, Monica e Flavio con tre figli, Maura e Claudio con due figlie) e una (Paola e Davide con 5 figli) in attesa di risiedere appena gli spazi lo consentiranno. Viviamo vicini, sul “Bric di Balicanti” a Canelli (tra le province di Asti e Cuneo, sulle colline di Cesare Pavese, oggi patrimonio Unesco), per fare esperienza nel quotidiano di fraternità, preghiera, condivisione dei beni e ricerca dell’essenziale. Ogni famiglia ha un alloggio distinto e lavori propri. Condividiamo la stanza della preghiera, gli spazi per l’ospitalità, i saloni per gli incontri, l’orto, il frutteto, gli attrezzi, un’auto…; progettiamo insieme attività e lavori strutturali, abbiamo una cassa comune per le spese generali (acqua, gas, luce, ecc.).
Il nostro desiderio è che questo sia un luogo di ristoro, ospitalità, confronto e ricerca spirituale.
Sono benvenuti tutti coloro che vorranno regalarci una visita o ampliare l’esperienza: nello spirito delle querce di Mamre ogni incontro con l’Altro e la sua diversità è portatore di Vita nuova. Le due principali icone bibliche da cui trae ispirazione la nostra esperienza sono la visita dei tre angeli alle querce di Mamre e la casa di Betania (Marta, Maria e Lazzaro) con tutti gli episodi evangelici che la riguardano.
La nostra storia ha ormai dieci anni (ci siamo trasferiti a novembre 2007); fin dall’inizio amici gesuiti e dell’Azione Cattolica Diocesana hanno visto in questo spazio “domestico” la possibilità di ruminare la Parola, fare riflessioni e condividere in modo fraterno il cammino. Anche il Vescovo ha seguito il nostro cammino con interesse e vicinanza. Da anni organizziamo giornate di approfondimenti spirituali con un’attenzione particolare alle famiglie e ai genitori, una volta al mese facciamo una preghiera serale aperta agli amici, dove i bambini iniziano con gli adulti per poi andare in un’altra stanza a giocare con una delle coppie residenti in comunità.
Nella zona della casa che abbiamo dedicato all’ospitalità sono passate parecchie persone e con ognuna c’è stata un’esperienza diversa. Da 3 anni vive con noi Omar del Burkina Faso: una vera benedizione che ha facilitato il passaggio di molti rifugiati o richiedenti asilo (in particolare africani), arricchendo la nostra storia di incontri e occasioni di dialogo interculturale e interreligioso. In questa fase stiamo collaborando a realizzare un progetto di casette per i giovani proprio nei quartieri che Omar conosce bene in Burkina (MOI ET TOI – BALICANTI “METTE CASA (ROTONDA)” IN BURKINA FASO...https://famigliemissionariekm0.wordpress.com/capitolo-9-da-canelli-la-collina-dellamicizia-si-allarga-fino-al-burkina-faso/)
Casa della Custodia
Vallio di Roncade (Diocesi di Treviso)
Bello è poter riaprire una canonica dove accogliere e vivere esperienze di casa, dove nessun uomo, nessuna donna, nessun dolore, nessuna gioia possano essere o sentirsi estranei tra loro. Chi ha tanto cercato e si porta dentro delle domande può depositarle sentendosi sostenuto a non mollare quando non trova subito le risposte, ma a tenerle dentro come strada da percorrere senza fuggire da se stesso, da se stessa.
Bello è collocare questa esperienza di casa, di custodia nell’alveo dell’azione pastorale della Diocesi di Treviso, allargandone l’orizzonte nel sogno di Dio di prendere dimora presso di noi (Gv. 14,23). Non è solo trovare un posto per ciascuno, per il mio gruppo, per le mie idee, nel difficile cammino della comunità. E’ piuttosto liberare la via di uscita per aprirsi alla vita quotidiana come segno della fede di una chiesa che cammina TRA le case.
L’esperienza è partita con Don Paolo Basso e Maddalena Zilio che, lavorando insieme in varie attività pastorali, hanno colto il bisogno e il desiderio delle persone impegnate con loro nei vari servizi, il desiderio di un volto di chiesa più familiare e accogliente. Creando un posto, un luogo dove poter maturare e approfondire, in un confronto fraterno, la propria esperienza di fede.
Ha continuato con l’Associazione So-stare nata a settembre 2019 con lo scopo di tenere aperta la porta di una casa dove vivere relazioni fraterne. Il Vescovo di Treviso, Michele Tomasi, ha affidato a questa associazione a partire da novembre 2020, la canonica di Vallio di Roncade (TV), lasciata libera da un anno dai padri del PIME, per aprire la Casa della Custodia.
In una casa che non è la propria, ma che è di tutti, si condivide una ospitalità che fa bene sia dare che ricevere, che riporta poi nella propria quotidianità con un di più di amore, di cura ricevuti, che si riversa per contagio ad altri. Insieme ci si sostiene nel vigilare perché lo spazio dentro di sé sia sgombro da aspettative e presunzioni, per accogliere le proprie e altrui fragilità e limiti, in modo che la casa resti il più possibile un luogo senza giudizio. Non c’è bisogno di mostrarsi perfetti, con chissà quali competenze, anzi proprio il condividere le fragilità che ciascuno porta in sé, impedisce di rincorrere quel mito di perfezione che rende le persone incapaci di tendere la mano.
La casa è dotata di cucina, 5 camere con bagno, una cappellina e altri spazi comuni, all’esterno un grande giardino, da cui partono passeggiate nel silenzio della campagna trevigiana.
E’ aperta dal giovedì alla domenica per singoli, donne e uomini in ricerca, coppie, famiglie desiderose di confronto sugli interrogativi che nascono nel mondo e nella chiesa di oggi.
E’ luogo di sosta per cammini personali e familiari, si può sostare per qualche ora, un week end o qualche giorno...
Con la possibilità del riposo, della sosta, del silenzio, dell’ascolto, della condivisione della tavola, della preghiera anche se solo per alcune ore, vengono raccolti i frammenti dei vissuti consegnati. E la tenerezza di Dio, che si esprime con mani, piedi, cuori di ciascuna/o, ne fa un intreccio, che lascia intravedere la trama di un capolavoro.
Giampaolo e Anna Maria Ferretti
Sant’Ilario d’Enza
IL NOSTRO INCONTRO CON LA ‘CHIESA DOMESTICA
Abbiamo partecipato al primo incontro sulla ‘Chiesa domestica’ il 19 settembre 2021 invitati da una coppia di amici di Reggio Emilia.
Di seguito abbiamo desiderato comunicare i nostri pensieri a don Matteo Zuppi di cui
riporto il testo integrale:
“Ieri ho avuto il piacere di ascoltare le sue parole al Convegno sulla 'Chiesa Domestica' presso il Seminario di Bologna.
Con mio marito Giampaolo, presente con me al convegno, abbiamo apprezzato il suo
intervento a conclusione delle relazioni dei vescovi Erio, Paolo e della biblista Rosanna Virgili. In particolare per l'assonanza del comune sentire rispetto alla situazione della Chiesa oggi, ma, soprattutto, abbiamo incontrato una Chiesa viva, appassionata e sulle orme di Papa Francesco che ci sostiene nell'essere fedeli al Vangelo e nel quotidiano impegno nella Chiesa locale. Di fatto siamo impegnati nei percorsi di formazione di alcuni gruppi di famiglie; nella Caritas locale, in particolare, rispetto all'accompagnamento al lavoro delle persone in difficoltà.
Personalmente sono Vicesindaco e Assessore alle politiche sociali nel Comune di
Sant'Ilario d'Enza (RE) dove cerco di testimoniare con i fatti, le parole e le difficili scelte quotidiane la mia vita cristiana.
Assieme a mio marito facciamo parte, fin da giovani, del Movimento dei Focolari la cui spiritualità ci ha sostenuto e formato come singoli e famiglia.
Professionalmente svolgo la libera professione, come Assistente Sociale Specialista, mi occupo di: counseling psico-sociale per migliorare la vita di persone, famiglie e gruppi che vivono sofferenze e disorientamenti; orientamento e accompagnamento professionale; formazione; lavoro sociale di comunità…”
In quel periodo stavamo iniziando il nostro percorso sinodale all’interno del Movimento dei Focolari che ci ha fatto portato, anche per le diverse esperienze di cui sopra, a comprendere come ci sia anche molta Chiesa fuori dalle mura cui andare incontro, ascoltare e dialogare.
Così abbiamo di nuovo condiviso un’idea con don Matteo, di seguito il contenuto:
“In questi giorni, facendo il percorso sinodale nel Movimento dei Focolari abbiamo
compreso l'importanza di questo cammino con tanti altri.
Ci è nato, così, in cuore un desiderio!
Nella nostra cerchia di amici e conoscenti ci sono persone 'non credenti', ma di grande spessore umano e culturale, che stimano e apprezzano ciò che fa Papa Francesco nel rinnovare la Chiesa.
Ci piacerebbe, in qualche modo, farli partecipi di un percorso sinodale 'altro-allargato'; per non disperdere contributi, pensieri e proposte, che potrebbero rivelarsi preziose e possibili.
Ti chiediamo, don Matteo, cosa ne pensi ed, eventualmente, avere qualche tuo
suggerimento…”
Sua risposta: “Assolutamente favorevole. Diventate un gruppo sinodale, senza
denominazione che sennò scappano tutti. Se prendi dal sito le domande che sono state scelte, ma poi va bene quella di fondo le domande alla Chiesa. Io sono a disposizione!”
Abbiamo individuato una trentina di persone, amici di vecchia data e nuove conoscenze, la maggiore parte incontrate personalmente a casa nostra che in quel momento diventava ‘una piccola chiesa domestica’.
Le domande con cui abbiamo impostato il dialogo sono quelle trovate sul sito ufficiale della Chiesa Cattolica; le abbiamo poi adattate, in parte, al contesto delle persone da
incontrare. Eccole:
1. I COMPAGNI DI VIAGGIO
Nella Chiesa e nella società siamo sulla stessa strada fianco a fianco. Quanto
riteniamo sia vera questa frase e perché? Che cosa è di ostacolo, che cosa
impedisce o frena nella Chiesa la possibilità di camminare insieme e di camminare
insieme con tutti?
2. ASCOLTARE
L’ascolto è il primo passo, ma richiede di avere mente e cuore aperti, senza
pregiudizi. Ci sentiamo ascoltati dalla Chiesa? Chi è più in difficoltà, chi soffre o è
solo trova ascolto nella Chiesa? In questo tempo particolare della pandemia la
Chiesa è stata capace di ascoltare?
3. CORRESPONSABILITA’
Riteniamo che la Chiesa sappia tessere reti di collaborazione e di scambio con tutti
quelli che lavorano per la costruzione di un mondo più giusto? Come dovrebbe
farlo?
4. DIALOGARE NELLA SOCIETÀ
Il dialogo è un cammino di perseveranza, che comprende anche silenzi e
sofferenze, ma capace di raccogliere l’esperienza delle persone e dei popoli. La
Chiesa può imparare da altre istanze della società: il mondo della politica,
dell’economia, della cultura e dell’arte, la società civile, i poveri e i più fragili? Quali
relazioni, quali esperienze di dialogo e di impegno condiviso si possono costruire
con chi non crede?
Ad oggi abbiamo dialogato con circa 20 persone, tutte sono molto contente di essere state considerate e coinvolte nel percorso del Sinodo; hanno condiviso i loro pensieri, le loro esperienze vissute, e le emozioni, con grande desiderio di offrire il proprio contributo in questo cammino della Chiesa oggi. Di tutto ciò noi siamo rimasti molto sorpresi anche per come si sono espressi:
a) per la stima e la riconoscenza che hanno verso Papa Francesco,
b) per il desiderio di dialogare di cui riconoscono un grande bisogno nella società di
oggi,
c) per la profondità umana e spirituale con cui diversi hanno dato i loro suggerimenti
d) per il grande arricchimento che è stato per noi due.
Prossimamente faremo una sintesi rielaborata di quanto emerso che faremo avere alla Chiesa attraverso suoi i canali ufficiali. Siamo disponibili, per chi lo desiderasse, a condividere maggiormente questa nostra esperienza.
Sant’Ilario d’Enza, 14 luglio 2022
CASA Famiglia della Carità BETANIA
Albinea, Reggio Emilia
Un pizzico di storia
Alla fine degli anni ‘90, un gruppo di famiglie della Comunità Cristiana di Albinea,
vivendo in parrocchia la propria vita di fede, comincia ad interrogarsi su come accogliere e accompagnare nel cammino della vita, i fratelli e le sorelle più fragili che si incontrano quotidianamente.
Spronati dal cammino fatto e dalle esortazioni ricevute dai Vescovi, cercano il modo
migliore perché la fede vissuta nella preghiera e nei sacramenti, trovi una palestra di amore, in cui allenarsi ad essere per tutti segno e strumento della Carità, che è l’Amore di Dio nel mondo.
Nasce così tra loro il desiderio di costruire, condividere ed abitare un luogo fisico, per essere missionari del Vangelo e vivere una vera comunione di vita con chi una casa non l’ha.
Nel 2001 dopo molti incontri e un duro lavoro, viene portata a compimento l’opera che ancora oggi, potete trovare al cuore della Comunità di Albinea: una grande casa
accogliente, costruita grazie alle tante offerte in denaro e in competenze delle famiglie che hanno creduto in questo progetto, e dal contributo della Regione Emilia Romagna.
La Casa comprende una parte residenziale dedicata alle persone che nella vita sono
rimaste sole, hanno affrontato dolori e difficoltà fisiche, economiche, psicologiche e che desiderano vivere in una casa sentendosi parte di una famiglia.
Il centro diurno per l’accoglienza di persone adulte con gravi disabilità, aperto dal lunedì al venerdì, animato da persone volontarie e operatori professionisti specializzati nell’assistenza e nella cura dei più fragili tra i fragili.
L’appartamento in cui risiede la famiglia custode di Casa.
La Porta di Betania in cui alcuni volontari si mettono in un primo ascolto delle necessità di chiunque abbia bisogno.
Nel 2009 la comunità residenziale di Casa presenta un grande bisogno: quello di investire tempo e sogni in un progetto che sia volto anche all’indipendenza e alla realizzazione personale.
Nasce così la storia di cura, coltivazione e lavoro che è sbocciata al Giardino di Betania, dove sono stati impiantati un uliveto e un vigneto e nella sua Acetaia. I prodotti realizzati dalla paziente e feconda collaborazione di ospiti, volontari, giovani e famiglie sono apprezzati per la loro bontà e per il grande valore aggiunto che rappresentano sulla tavola di chi li condivide.
Dal 2019 è attivo il progetto Insieme Per Generare – Piccola comunità di giovani. Molti giovani, attratti dalla bellezza di questa Casa, nel corso degli anni, hanno cercato modi sempre nuovi di abitarla e di condividerne i momenti più gioiosi.
Abbiamo pensato di cogliere questo entusiasmo, creando la possibilità per loro di
cimentarsi in un anno di convivenza, servizio e formazione ad ampio sguardo,
preparandosi alle scelte determinanti della vita, insieme alla straordinaria comunità
umana che vive Casa Betania.
Partner di questo progetto è il Comune di Albinea che, condividendone finalità e scopi, sostiene il progetto e lo propone alla cittadinanza come opportunità di crescita in una sensibilità solidale.
Famiglia
L’unicità di questa esperienza è la presenza costante di una famiglia custode, non
sempre la stessa. Un gruppo di famiglie in continua evoluzione, sceglie di lasciare la
propria casa, per vivere tre mesi della sua vita a Casa Betania, in un appartamento
dedicato.
Il compito di questa famiglia è accogliere ed essere accolta, nulla di diverso da ciò che farebbe tra le proprie mura domestiche, ma più in grande.
Per tre mesi ogni famiglia condivide la preghiera, i pasti, le necessità più urgenti e le
piccole cose di tutti i giorni con chi vive nella comunità residenziale della Casa.
Alla famiglia non sono richieste particolari competenze, né di lasciare il proprio lavoro o gli
impegni che si hanno abitualmente, ma di vivere semplicemente ciò che si è,
condividendolo con la famiglia di Casa Betania. La famiglia esercita il suo ministero in quanto tale e ne è soggetto proprio e creativo.
CARITÀ: il nostro centro
Il centro di tutto è l’esperienza che abbiamo fatto dell’Amore di Dio, della sua
premura per ogni figlia e figlio che abita questo mondo. I desideri che spingono chi
sostiene e vive la Casa sono quelli che intuiamo fossero anche nel cuore di Gesù quando andava in cerca dei più soli ed emarginati dalla società, per farne la sua famiglia e mettersi a tavola con loro. Questa carità e questa Comunione sono la ragione fondamentale di quest’opera.
BETANIA: il nostro sogno
A Betania c’era una famiglia che è diventata la famiglia di Gesù quando, lasciando la
sua per annunciare il Regno, non aveva “un sasso dove posare il capo”.
Qui Gesù veniva accolto, servito e amato; riposava e si confidava. Veniva anche ascoltato in intimità e adorato. Per Lui veniva sparso il profumo più costoso.
Era una famiglia nuova, composta non per legami di parentela, ma da coloro che
volevano ascoltare la Parola di Dio e metterla in pratica, diventando così, suoi fratelli,
sorelle, madri.
Questo vuole essere per noi tutti la Casa Famiglia della Carità “Betania”. Stiamo
sperimentando che una famiglia allargata non solo è possibile,
ma che cercare di vivere il Vangelo facendo famiglia tra di noi è meglio
Federico Zanotti e Chiara Morandini
Monza
Da un articolo della rivista "Servire", fb: facebook.com/RSServire; ig: instagram.com/rs_servire/
LA PREGHIERA È CASA
Comincia a far buio, una giornata di impegni, di lavoro o in università sta finendo. Rientro finalmente a casa. Appoggio lo zaino, mi tolgo la giacca, lascio fuori le scarpe a prendere aria e mi metto in tuta. Mi siedo comodamente sul divano, faccio ordine tra i messaggi ignorati e i pensieri accantonati. Mi rilasso un po'.
Stamattina ho scongelato un paio di porzioni di zuppa pensando alla cena di stasera.
Vado in cucina e comincio a preparare; apparecchio e scaldo la zuppa: mi prendo cura di questo momento in cui ci siederemo insieme a tavola. Ci raccontiamo come stiamo: è chiaro che non posso monopolizzare la cena con la mia giornata, devo lasciare spazio anche all’altro. Dialoghiamo e proviamo ad ascoltarci.
La cena è finita. Non resta che sparecchiare, caricare la lavastoviglie e chiudere la cucina.
Tornando a casa
Quando ci siamo fermati a immaginare cosa per noi fosse la preghiera, l’abbiamo
immaginata così. Come un’entrata graduale in un ambiente familiare, un insieme di abitudini e di passaggi che ci preparano a un incontro, quello con il Signore. Ci sono dei gesti che, diventando pian piano un habitus, ci aiutano a entrare in contatto. Sono come quelle piccole tradizioni che si instaurano fra amici. Non sono predeterminate, ma dopo qualche tempo ci accorgiamo che hanno arredato lo spazio “domestico” di quella relazione.
E allora, come nel tornare a casa, entrando in preghiera è necessario fare pulizia mentale liberare spazio dentro di noi: lasciamo fuori dalla porta tutti i pensieri che in quel momento ci affaticano o ci distraggono. Ci focalizziamo sull’incontro con il Signore che sta per avvenire.
Ci mettiamo poi comodi: la posizione del corpo non è indifferente, perché se stiamo bene fisicamente permettiamo al nostro cuore di mettersi in ascolto.
Ci possiamo poi preparare un po’ prima a quel momento: scegliere un brano sul quale
sostare e studiarlo un po’, stamparci quell’intervento del papa che abbiamo sentito
velocemente per radio e ci ha colpito, recuperare gli spunti lasciati dall’AE ,… Preparare con anticipo lo spazio dell’incontro conferisce importanza a quel momento, lo rende speciale.
E poi la preghiera vera e propria: iniziamo con un saluto, un segno di croce, per poi stare nel vivo del dialogo con il Signore. Il materiale su cui avremo deciso di pregare ci aiuterà a stare nella relazione con lui, proprio come faremmo con un amico. È importante mettersi in ascolto, di fronte alla sua Parola, e lasciarci attraversare. Stare in preghiera infatti non è solo riversare sul Signore le nostre frustrazioni, le nostre fatiche e le nostre gioie. In quanto relazione, si tratta di farsi ascoltatori e, allo stesso tempo, avere la certezza di trovare in quel luogo accoglienza totale e assoluta di ciò che siamo. Infine chiuderemo il momento con una preghiera e un ringraziamento.
Ritualità della preghiera
Nel costruire l’ambiente della preghiera, aiuta molto avere una scaletta da seguire, perché crea una ritualità in cui ritrovarsi. Ogni casa e ogni famiglia hanno i propri riti e le proprie abitudini che rendono unico quello spazio di vita. Lo stesso per la preghiera: quali sono quei gesti che ci aiutano a entrare in relazione, a sentire più nostro quel momento?
Utile è anche definire tempi e spazi. Decidiamo un momento della settimana/del mese da dedicare; le nostre vite sono sempre più piene e frenetiche, inserirlo come un appuntamento in agenda - se serve - non sminuisce la sua spontaneità, ma dona valore: è importante, quindi me lo segno e non voglio perdermelo. E se capita che l’appuntamento salti, come per una cena tra amici, provo a rifissarlo subito. Decidiamo poi un luogo che ci aiuti a sentirci a nostro agio e soprattutto che non abbia distrazioni: una stanza della casa? La chiesa che frequento? Il parco? Che sia un luogo in cui sto bene. Infine i simboli: una candela accesa, un crocifisso, un’immagine che sia di ispirazione o che sta particolarmente a cuore. Questi diventeranno l’arredo dello spazio domestico della nostra preghiera.
La cornice è importante: aiuta a creare un clima, un ambiente, che tuteli l’incontro con il Signore.
Cos’è domestico?
Ci siamo a lungo interrogati sul significato di “domestico” per dei lettori così diversi fra loro come i capi della nostra associazione. Per i più giovani fra noi, casa è probabilmente ancora quella dei genitori in cui non è detto che ci si possa sempre sentire comodi o a proprio agio, per altri potrebbe già essere scattato il tempo di vivere da soli o con coinquilini. Ci saranno capi neo-sposi per i quali “domestico” è un luogo a lungo desiderato, dimensione pienamente concreta e solida di un amore promesso e dell’inizio di una vita a due. Ci sono poi case popolate di bambini e adolescenti dove forse le dimensioni del raccoglimento e del silenzio vengono ricercate come oasi da conquistare a fatica. O, ancora, case tornate silenziose dopo che i figli hanno preso la loro strada e costruito una dimensione domestica tutta loro.
Forse allora la dimensione domestica che può risuonare maggiormente, quale che sia il nostro stato di vita, sta in un ribaltamento della prospettiva: è la relazione con il Signore, quando impariamo a ricercarla, curarla, arredarla, che diventa essa stessa uno spazio dove sentirsi davvero a casa.
La ricerca
La ricerca di questo tipo di preghiera è chiaramente un lungo cammino che ognuno compie durante la propria vita, attraversando fasi diverse, trovando modi e forme più o meno congeniali, cogliendo esperienze ed occasioni che lo avvicinino sempre più al Signore.
Per la nostra coppia questa ricerca è stata un tema frequente degli ultimi anni.
Desideravamo un rapporto con il Signore che fosse sempre più quotidiano e vero, consci delle nostre pigrizie e della fatica di ricavare spazi e tempi.
Nel primo periodo di fidanzamento e poi da sposi, ci ha aiutato moltissimo provare a
custodire dei momenti fissi per la preghiera all’interno di percorsi di gruppo, costruiti con amici che vivevano il nostro stesso desiderio. Una grande ricchezza allo stesso tempo è arrivata anche dall’accompagnamento spirituale del sacerdote che ci ha sposati.
Ad oggi la nostra ricerca ha trovato una risposta molto concreta, esplicitamente domestica, nell'abitare in un appartamento che fa parte del complesso di un convento: un tentativo di mettere all’angolo le nostre fragilità. Cerchiamo di condividere con i padri della comunità un momento di preghiera e convivialità settimanale e, con loro, gestiamo uno spazio di spiritualità per singoli, clan, gruppi scout e non. È una grande grazia e fonte di arricchiment fraterno.
Siamo però ben consapevoli che questa è la risposta di oggi per la nostra vita. La ricerca non può fermarsi qui: le nostre vite continueranno a cambiare e a chiederci di adeguare le forme del nostro pregare.
I modi per vivere la preghiera possono essere molti, ognuno può trovare le proprie a
seconda di dove si trova sul suo cammino. Come preghiera domestica possiamo, ad
esempio, fare un’esame di coscienza serale che ripercorra le tracce della grazia vissute durante la giornata, avere una frequentazione assidua con la Parola di Dio che possa aiutarci nella rilettura dell’esperienza, utilizzare la preghiera delle ore, costruire degli spazi di condivisione con altri fratelli,...
Come cristiani siamo continuamente sulla Strada, non possiamo quindi smettere di
interrogarci. I modi sono tanti, il percorso può essere lungo e complesso; siamo però
convinti che, come capi e come uomini e donne della partenza, non possiamo fare a meno di percorrerlo. La nostra ricerca è la miglior testimonianza del Vangelo che possiamo fare ai giovani che ci sono affidati.
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