Per Lidia Maggi(pastora battista) la casa è il luogo da cui ripartire dopo la pandemia: «Qui possiamo ritrovare una fede più incarnata e concreta».
Siamo andati a trovarla nella sua abitazione, dove accoglie persone in ricerca
pubblicato il 2 Luglio 2020
Articolo: https://m.famigliacristiana.it/articolo/lidia-maggi-fra-salotto-e-cucina-coltiviamo-la-vita.htm - parte di Alfabeto per il futuro - Parole per il domani
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«La casa riproduce ogni aspetto della vita. In cantina ci sono i nostri lati oscuri, quelli che non vogliamo affrontare, le presenze ingombranti che non ci rendono liberi. In soffitta i ricordi dimenticati, quelli della famiglia allargata. La sala da pranzo è la nostra vita sociale. Il bagno il luogo in cui ci purifichiamo. La cucina è ciò che ci nutre o, al contrario, ci avvelena. La camera è il luogo dell’intimità e del riposo, in cui possiamo metterci a nudo senza paura». Durante la pandemia da Covid-19 siamo tornati ad abitare la casa. Prima, rischiava di diventare sempre più un dormitorio. La vita, quella vera, si svolgeva altrove: al lavoro, nei viaggi, in palestra, e soprattutto sul web, nello spazio virtuale. Nostro malgrado, ci siamo dovuti fermare. E lei, la casa, ci ha costretti a un confronto duro e senza scappatoie con noi stessi. «È inevitabile, quindi, ripartire da qui, per mettere a frutto quello che questa esperienza della pandemia ci sta insegnando».
Curare gli spazi
Lidia Maggi è una pastora battista, appartiene cioè a una confessione cristiana di tradizione riformata. Vive a Dumenza, in provincia di Varese, con il marito Angelo Reginato, anch’ egli pastore, in una casa del Settecento che la coppia ha restaurato e riportato in vita. Impegnata nel dialogo ecumenico e fra le religioni, Lidia Maggi da qualche anno svolge un ministero itinerante che la porta in giro per l’Italia per far conoscere le Sacre Scritture. È ospite di molti eventi culturali fra cui il Festival biblico, viene invitata a parlare nelle parrocchie cattoliche e in comunità riformate, ma anche nelle biblioteche e in spazi laici. La casa è il luogo da cui parte e in cui torna. «Mi piace questa casa», confida, «perché è fatta di tantissimi anfratti, di sali e scendi, terrazze che improvvisamente si aprono e si chiudono. È una casa in cui ci si può perdere, complessa, che non è stata progettata in una volta ma è cresciuta con le esigenze della famiglia che l’ha abitata. Ha conosciuto delle ferite: l’ultima persona che l’ha abitata è morta da sola, nel degrado. Da quando io e mio marito l’abbiamo acquistata, abbiamo cominciato a curarla. Ritengo sia importante, laddove viviamo, ascoltare l’anima dei posti. Si può entrare in relazione anche con le cose. Di questa casa abbiamo rispettato le linee, per armonizzarle con i nostri bisogni». Quella di Lidia e Angelo è una casa che accoglie. Qui vengono, per restare qualche giorno, soprattutto coppie in crisi, sia cattoliche che protestanti, spesso anche sacerdoti o suore che hanno bisogno di un confronto sincero.
Un rifugio nel bisogno
«L’ accoglienza è nata da una necessità», spiega Maggi. «Durante gli incontri in giro per l’Italia incrocio spesso persone che mi confidano una difficoltà o un dolore. Lo spazio di una conferenza non è adatto per parlare, così ho cominciato a invitarle qui a casa per condividere un po’ di tempo insieme. Mi sono accorta che l’accompagnamento spirituale in casa è diverso da quello che per anni ho svolto nel mio ufficio da pastora, quando abitavo con la mia famiglia sopra la chiesa, prima a Milano e poi a Varese. Qui parlo con le persone mentre cuciniamo, mentre faccio il pane o curo l’orto. Alla sera ci si trova sul terrazzo per chiacchierare, guardare le stelle o fare un gioco da tavolo. Le confidenze emergono piano piano. C’ è anche chi non parla tutto il tempo e poi, quando è in partenza, vicino alla propria auto, mi racconta la sua vita». Stare bene in casa, per Lidia Maggi, è stata una conquista. «Da piccola sono cresciuta in un orfanotrofio, dall’ età di tre anni e mezzo fino a 11. Quella per me era la casa, il posto sicuro. Ne sono uscita per andare in adozione, ma la mia nonna paterna si è opposta e mi sono ritrovata in un contesto famigliare violento. Ero terrorizzata dallo stare nella casa della mia famiglia naturale, perché non potevo controllare il male che mi veniva addosso». Un’ esperienza che ora le fa dire che «la casa non è un luogo da idealizzare». «La pandemia è stata una lente che ha messo in evidenza ciò che c’ era già nella vita delle persone», continua. «È diventata un rifugio per chi in famiglia viveva relazioni buone, che ha potuto riscoprire grazie al tempo ritrovato. Non è stato così per chi era in procinto di separarsi, per chi ha vissuto un lutto o perso il lavoro, per chi vive situazioni di violenza. Per questo, come Chiese riformate, già dai primi giorni del confinamento abbiamo vigilato sugli abusi in famiglia».
Fra traumi e cura
«La casa è il luogo della cura, ma anche il luogo che raccoglie i traumi, dove impari a gestirli», continua Lidia Maggi. «Ora io e mio marito viviamo in un clima sereno, ma non è sempre stato così. Abbiamo avuto momenti accesi di confronto e di scontro. Chi ha cresciuto dei figli sa che l’adolescenza fa vivere periodi duri: porte che sbattono, pugni sul tavolo, urla. E c’ è la fatica di noi genitori, che ci chiediamo dove abbiamo sbagliato. Tutti i miei figli hanno avuto adolescenze burrascose, anche perché noi siamo genitori ingombranti. Non è stato facile per loro trovare la propria strada. Poi improvvisamente fioriscono. Tu sapevi che sarebbero diventate bellissime persone, ma nei momenti più difficili te ne dimenticavi». La casa è il luogo da cui è possibile ripartire dopo la fase acuta della pandemia, dopo il trauma collettivo che abbiamo vissuto, «per reinterrogarci sui ritmi di vita, sugli stili, sulle abitudini, e per riaprirci a un incontro più consapevole con gli altri». Ma, secondo Lidia Maggi, è anche «il luogo da cui far ripartire la fede». «Durante la fase di confinamento, molte persone hanno sperimentato che è possibile celebrare nelle case», spiega. «Tante famiglie si sono riunite la domenica per pregare e leggere il Vangelo. Ora bisogna fare in modo che questa esperienza non vada perduta, ma venga trasmessa nelle parrocchie». «La Chiesa ha bisogno di ripartire dalla casa», continua Maggi. «In fondo la sua storia è cominciata proprio così, quando i cristiani vengono scacciati dalle sinagoghe. Anche il tempio non c’ è più e, in mezzo a questo trauma totale, questa piccola setta giudaica messianica trova nella casa il suo centro propulsivo. La tavola diventa il luogo dove si celebra la memoria della liberazione, rileggendo la Pasqua ebraica. Con il passare dei secoli gli altari sono diventati sempre più astratti, ricordano poco la tavola alla quale si ispirano. La casa può aiutarci a ritrovare una fede più incarnata e concreta, ripartendo dalle relazioni e dalla vita».
Chi è
Attenta Teologa, e pastora battista, oltre alla cura delle Chiese a lei affidate, Lidia Maggi si occupa di formazione e di dialogo ecumenico. Dedica attenzione anche al tema delle donne e del femminile nelle Chiese e collabora con diverse testate cattoliche e protestanti. Fra i suoi ultimi libri segnaliamo Fare strada con le Scritture, (Paoline, 2017) e L’ Evangelo delle donne - Figure femminili nel Nuovo Testamento (Claudiana, 2014). Con il marito Angelo Reginato ha scritto Dire, fare, baciare... Il lettore e la Bibbia (Claudiana, 2012).
ETA’ 56 anni
FAMIGLIA Sposata, ha 4 figli
RUOLO Pastora della Chiesa battista
MINISTERO Gira per l’Italia a far conoscere le Scritture nuova storia d’ amore... tra disincanto e stupore.
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